PROTAGONISTA DEL SEICENTO
Nel Seicento, l’Italia e l’Europa entrano nella modernità. Il XVII secolo è già il nostro tempo intellettuale, spirituale ed emotivo.
È stato, il Seicento, l’epoca che ha intuito, con Galileo, l’infinitudine dei cieli e, con Shakespeare, gli insondabili abissi dell’animo umano; che ha sperimentato, con i suoi grandi mistici, il “silenzio di Dio” e il naufragio dell’Assoluto; che ha inventato il romanzo moderno con Cervantes e il “recitar cantando” con Monteverdi. È stata l’epoca che, con Bernini, ha modellato la città come una sola immensa scultura, che ha fatto cadere i confini fisici dell’abitare con l’illusionismo aereo di Pietro da Cortona e di padre Pozzo e anticipato il cinema portando, con Caravaggio, il dramma della luce e l’urgenza del vero dentro la figurazione.
Di quel secolo il romagnolo Guido Cagnacci fu protagonista. Non testimone e neppure comprimario, ma protagonista. Partito dalla “piccola Siviglia” (Arcangeli) riminese, partecipò a Roma della rivoluzione caravaggesca e, a Bologna, della “bellezza virtuosa” di Guido Reni. Fu a Venezia e alla corte imperiale di Vienna.
Come un iperrealista dei giorni nostri lo affascinava l’obliquo enigma delle cose. Come un autore a noi contemporaneo riuscì a rendere visibile il vero dei sentimenti, delle emozioni, degli affetti, forzandone la rappresentazione fino all’oltranza e all’iperbole.
Venerata religione, estasi mistica, concitata eloquenza, malinconico e compulsivo erotismo, percezione della fatalità della storia, violenza e dramma nelle umane passioni. Ecco ciò che occupa i quadri di Cagnacci. Questo universo magmatico, tumultuoso e già moderno, nessuno come lui, nel suo secolo, è riuscito a metterlo in figura
Antonio Paolucci
TRA CARAVAGGIO E RENI
Dopo l’oblio in cui Cagnacci cadde con la morte, a causa dell’inaccessibilità delle sue opere, conservate perlopiù in collezioni private, è stato il Novecento a decretargli un nuovo favore. La “riscoperta” ha mosso dalla sua produzione sacra in Romagna, studiata da Francesco Arcangeli e Cesare Gnudi in occasione della Mostra della pittura del ’600 a Rimini (Rimini, 1952) e di quella dei Maestri del ’600 emiliano (Bologna, 1959). In seguito gli sono state dedicate alcune monografie (R. Buscaroli, 1962; P.G. Pasini, 1986) e nel 1993 è stato oggetto della prima mostra monografica, tenuta a Rimini. Di pari passo ha proceduto la sua fortuna in campo collezionistico. La sua personalità può dirsi ora apprezzata nella sua complessità e ricchezza, tanto da farne un outsider della pittura seicentesca.
La mostra attuale non si limita a presentare la produzione pittorica di Cagnacci nella sua quasi totale interezza, ma intende mettere in evidenza, attraverso la presenza di importanti dipinti di altri autori, il fervido dialogo che egli seppe intrattenere con altri protagonisti della pittura del suo tempo, muovendosi in modo assolutamente personale tra i due poli del naturalismo caravaggesco e dell’idealismo reniano.
È così che palesi omaggi all’ormai anziano Ludovico Carracci si uniscono, nei suoi primi dipinti, alle simpatie per il giovane Guercino. Ma sono poi i soggiorni a Roma a consentirgli di maturare le sue propensioni a contatto con la pittura del Caravaggio e dei suoi seguaci, attivi sia in campo sacro (Lanfranco, Borgianni, Serodine, Honthorst) sia in campo profano (i Gentilischi, Vouet). Dai primi coglie l’invito a una dimensione narrativa in cui il tema religioso si cala nel quotidiano; dai secondi quello a sottolineare le valenze emozionali e sottilmente sensuali che il fatto raffigurato suscita nel riguardante: due aspetti già messi a frutto nei quadri da altare eseguiti a Rimini, come la Vocazione di San Matteo o la stupefacente pala con La Madonna e tre santi carmelitani in San Giovanni Battista, dove un’unica onda emozionale lega i diversi episodi.
A questo punto, anche il confronto con la pittura di Guido Reni, inevitabile, data l’importanza che questi ha assunto in ambito non solo emiliano, non può stornarlo dalla strada intrapresa. È tuttavia grazie a questo incontro, e a quello con i più indipendenti tra i suoi allievi (Cantarini, Gessi), se il linguaggio di Cagnacci si fa più colto e sapiente, senza sottrarsi alle implicazioni apertamente melodrammatiche che l’ambiente bolognese gli suggerisce, soprattutto per la pittura “da stanza”.
I successivi accrescimenti stilistici, determinati soprattutto dalla conoscenza della grande pittura veneziana del Cinquecento, già evidente nei “quadroni” di Forlì (1642- 44), vedono il pittore procedere sulla base delle proprie raggiunte convinzioni, in uno strenuo quanto felice confronto con un tema, quello del nudo femminile, che lo porta a soluzioni di straordinaria naturalezza ed eleganza.
Daniele Benati
dal sito web http://www.guidocagnacci.com